Per le tradizioni antiche il poeta, considerato nella sua accezione più elevata, non era semplicemente qualcuno che tramite i versi esprimeva sentimenti o idee personali. Era invece una persona in grado di comunicare una verità a lui superiore, di raccontare fatti e miti il cui valore andava ben al di là dell'individualità umana. L'invocazione alla Musa, presente all'inizio dei poemi epici, sottolinea proprio il carattere sacrale che doveva avere anticamente la poesia. Il fatto che il poeta componesse quasi con l'investitura e l' "ispirazione" della divinità poteva poi comportare che l'opera, in alcuni casi, avesse anche un valore "profetico", predicendo eventi che sarebbero accaduti in un futuro molto lontano. Uno degli esempi più sorprendenti è rappresentato sicuramente dall'accurata descrizione della società moderna fatta da Esiodo, poeta greco vissuto tra l'VIII e il VII secolo a.C., ne "Le opere e i giorni". Un certo legame tra poesia e "profezia" emerge però anche nei vaticini delle sibille, i quali i più delle volte venivano appunto espressi in versi; questo fatto ci può fare riflettere, tra l'altro, anche su come non tutti gli oracoli fossero il frutto di strani delirii o magari dell'assunzione di sostanze stupefacenti... anche perchè è davvero poco credibile che qualcuno riuscisse a comporre articolate poesie in metrica in simili stati di incoscienza (1).
Nell'epoca cristiana diversi di questi oracoli sono stati interpretati come delle predizioni della venuta di Cristo, che avrebbe portato ad una nuova età dell'oro e ad una "restaurazione" in senso spirituale.
Il caso più noto, sebbene non sia affato l'unico, è ovviamente quello del vaticino riportato all'inizio della IV Egloga di Virgilio; in questa poesia si parla di una "vergine" e di un "bambino che sta per nascere", grazie al quale terminerà l'epoca di decadenza.
"Oh Muse sicule, alziamo un poco il tono del canto:
non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici;
se cantiamo le selve, le selve siano degne di un console.
E' arrivata l'ultima età dell'oracolo cumano:
il grande ordine dei secoli nasce di nuovo.
E già ritorna la vergine, ritornano i regni di Saturno, (2)
già la nuova progenie discende dall'alto del cielo.
Tu, o casta Lucina, proteggi il fanciullo che sta per nascere,
con cui finirà la generazione del ferro e in tutto il mondo
sorgerà quella dell'oro: già regna il tuo Apollo. [...]"
Se aggiungiamo che, poco più avanti, Virgilio allude anche ad un serpente che "scomparirà", è facile intuire perchè, in epoca Medioevale, questi versi valsero al poeta latino la fama di grande profeta. A noi però sono giunti almeno atri due antichi oracoli (risalenti, secondo la tradizione, ai tempi di Romolo o addirittura della guerra di Troia) che parlerebbero della venuta di Cristo, e che ci sono stati riferititi dai padri della Chiesa.
S. Agostino ne "La Città di Dio" (3) dice infatti che "la Sibilla Eritrea ha dato allo scritto alcune manifeste divinazioni sul Cristo", e racconta anche che, nella versione greca di uno di questi oracoli, le lettere iniziali dei versi componevano la scritta 'Ιησοῦς Χριστός Θεoῦ Υιός Σωτήρ (Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore); questa frase inoltre rimandava evidentemente all'acrostico ΙΧΘΥΣ, "cioè pesce, termine con cui simbolicamente si raffigura il Cristo perché ebbe il potere di rimanere vivo, cioè senza peccato, nell'abisso della nostra mortalità, simile al profondo delle acque". La predizione in questione è comunque decisamente interessante, e comincia così:
"Segno del giudizio: la terra sarà madida di sudore.
Verrà dal cielo Colui che sarà re per sempre,
cioè per giudicare di presenza la carne e il mondo.
In questo fatto vedranno Dio il miscredente e il credente,
in alto con i santi alla fine del tempo.
Vi saranno col corpo le anime che egli giudica,
quando il mondo giace incolto in dense sterpaglie.
Gli uomini disdegnano gli idoli e ogni tesoro. [...]"
S. Agostino precisa anche che questi versi non si riferiscono al culto degli dèi falsi dei pagani, e che anzi parlano apertamente contro di essi.
Un altro vaticino lo si trova invece in Lattanzio, e riguarderebbe la morte di Cristo. I versi sono riportati sparsi nel testo, ma sempre S. Agostino li rimette assieme e ce li propone così:
"Cadrà poi nelle mani empie degli infedeli, daranno schiaffi a Dio con mani contaminate e getteranno sputi velenosi dalla turpe bocca ed egli senza resistenza offrirà il dorso ai colpi. Nel ricevere schiaffi tacerà affinché non si sappia che è il Verbo e da dove viene per morire ed essere coronato di spine. Per cibo gli diedero il fiele e per bevanda l'aceto, gli offriranno questa vivanda dell'inospitalità. Tu, stolto, non hai compreso il tuo Dio che si mostra alla coscienza degli uomini, ma lo hai perfino coronato di spine e gli hai mescolato nella bevanda il fiele disgustoso. Sarà spaccato il velo del tempio e a mezzogiorno per tre ore scenderà una notte tenebrosa. Morirà e sarà nel sonno della morte per tre giorni e allora, ritornato dal regno dei morti, verrà per primo alla luce dopo aver mostrato ai risorti le primizie della risurrezione".
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Note:
(1) Sono molti - anche e soprattutto in ambito "accademico" - coloro che cercano di spiegare in questo modo gli elementi poco comprensibili delle tradizioni antiche. C'è chi è arrivato ad ipotizzare che anche gli iniziati ai misteri eleusini si drogassero, perchè tra i simboli utilizzati c'era la spiga di grano; secondo questa teoria, infatti, dalle spighe affette da segale cornuta i greci avrebbero ricavato una sostanza allucinogena simile all'LSD (!), che avrebbe provocato certe esperienze "mistiche", a cui allude ad esempio Plutarco. E' un'interpretazione decisamente grossolana, ed è più probabile che il vero significato sia invece da ricercare nel simbolismo del seme: quest'ultimo infatti "muore" nella terra, per dar vita in seguito ad una nuova "pianta" e realizzare così ciò che prima esisteva solo "in potenza".
(2) I regni di Saturno coincidono in tutto e per tutto con l'"età dell'oro"
(3) S. Agostino, La città di Dio, XVIII, 23